giovedì 23 giugno 2016

Tra cielo e terra. E altrove. L'illustrazione di Atak

Un giorno, aprendo un libro, ho visto una lepre rincorrere un cacciatore. Era il mio primo giorno di lavoro nella libreria Il posto delle favole a Roma e io stavo entrando in un universo meraviglioso. Allora ho voltato pagina, l'ho fatto di nuovo, e sfogliando il suo libro ho scoperto un illustratore tedesco: Atak. Quello era il suo primo libro pubblicato in Italia: Mondomatto (Orecchio Acerbo, 2010).
Due anni dopo ho conosciuto Atak (Georg Barber) a Montreuil, dove mi sono potuta perdere in un'altra avventura (stavolta inedita in Italia): L'étranger mystérieux, Albin Michelle Jeunesse 2012 (Der geheimnisvolle Fremde, Carlsen Verlag 2012). Lo straniero misterioso di Mark Twain si direbbe il libro perfetto per riversare tanto colore e tanta energia da un mondo matto a una storia di follia.
Ma la follia, l'impulsività in Atak sono per lo più apparenza che ostenta il richiamo alla semplicità infantile (e all'infanzia del fumetto...penso a Max Fleisher, Hal Seeger), a una espressione vera (penso all'espressionismo tedesco).
Atak è illustratore, fumettista e graphic designer dai numerosi richiami alla cultura pop americana, con le sue incursioni nel mondo pubblicitario, del cinema e del fumetto. Fra i più brillanti esponenti della scena artistica berlinese, é autore di numerosi fumetti e albi illustrati pubblicati in molti paesi europei ma tuttora inediti in Italia.
Tra questi ultimi rientrano le recenti pubblicazioni, Der Garten (Kunstmann, München 2013) e Martha (Aladin, Hamburg 2016), tributi poetici alla natura, rispettivamente alla sua forma domestica più antica e ad una specie di uccelli oggi estinta.
L'illustrazione di Atak vive, e con essa vivono (o rivivono) le storie. Ne Il giardino le parole, inglobate nella grafica, significano semanticamente e stilisticamente. Le curve della grafia fanno eco alle curve degli animali, alle volute vegetali, ai solchi d'espressione sui volti dei personaggi, all'energia vibrante di ogni atmosfera che Atak compone. Compone come un collage, come una raccolta di segni che ben si prestano ad una analisi semiotica: il formante figurativo é delineato da vibrazioni e intensità cromatiche che rendono le figure quasi perturbanti; topologicamente le immagini si presentano prive di centro o pluricentriche, prive di tridimensionalità ma non piatte. Spiazzanti. Ma io guardo il libro e mi sento tranquilla. Davvero. Perché? La calma soggiace alla composizione, paradossalmente. L'organizzazione eidetica dell'immagine é organica. Ogni linea é soggetta allo stesso moto "interno", ogni linea (comprese quelle delle lettere alfabetiche) danza sulla stessa musica. Per questo la sensazione generale é quella di una calma che solo un caos soggiacente rende possibile. Di una calma che un testo in qualsiasi altro carattere tipografico tramuterebbe in inferno.
Il giardino é invece un Eden, come Atak lo racconta. Ricordo l'hortus conclusus romano, i giardini pensili di Babilonia, i giardini zen. Penso a tutte le forme di equilibrio e rigoglio che l'uomo ha coltivato e coltiva per meglio coltivare se stesso. In quest'epoca di crescente urbanizzazione, cementificazione, meccanizzazione e digitalizzazione, il giardino rappresenta una sopravvivenza dei ritmi, dei colori e degli odori della natura in una realtà quotidiana che vuol essere a misura d'uomo. Nel tempo della mobilità il giardino rappresenta la capacità di mettere radici, o quantomeno l'impegno a riconoscerne l'importanza. E come le radici nei rami, protendiamo con Atak lo sguardo al cielo per osservare un volatile oggi non più diffuso.
La colomba migratrice (Ectopistes Migratorius), era un uccello molto diffuso nei secoli XVIII e XIX in Canada e Nord America. Le variazioni climatiche, le alterazioni del suo habitat per mano dell'uomo e la caccia decimarono le colonie e gli esemplari di colomba migratrice. Il primo settembre 1914 morì nello zoo di Cincinnati anche Martha, l'ultimo esemplare, ed é a lei che Atak dedica il suo nuovo libro. Un tributo. Un tributo ad un tempo in cui bastava alzare lo sguardo per vedere in cielo una miriade di punti, uno stormo di uccelli come inchiostro fluttuante nel vento. Un monito che sottolinea quanto in passato l'uomo fosse immerso nella natura. Oggi invece la natura é circoscritta dall'uomo. Come un volatile che, da essere libero per antonomasia, é diventato attrazione in uno zoo, circondato da stormi di turisti.
Noto delusa che in Martha il testo é stampato in semplice carattere tipografico; stride. O forse é proprio questo l'intento. Un racconto-descrizione che con distacco sottolinea il contrasto tra ambiente naturale e artificiale. Mi soffermo sulle illustrazioni. Con attenzione i miei occhi guardano oltre il turbine delle pennellate e colgono citazioni ancor più sorprendenti del Manet ne Il giardino: Popeye. Topolino. Caspar David Friedrich. Beavis and Butt-head. George Grosz. Tintin. John James Audubon. Storie nella storia ritagliate nei dettagli. Alla fine del libro, su una pagina quasi candida la grafia di Atak finalmente ritorna. Martha resta un ricordo e lascia carta bianca per riflettere e immaginare.

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